JUTI RAVENNA

Ultima modifica 5 agosto 2022

“Juti Ravenna fra Venezia e Treviso”

Estratto dalla conferenza tenuta ad Annone Veneto il 6 maggio 2022.

 

Formazione

Su Juti Ravenna sono stati scritti ottimi saggi (v. bibliografia) che ne hanno ricostruito il percorso artistico corredati da utilissimi regesti che lo riassumono: a partire dal testo di Mesirca del '69 – redatto quando l'artista era ancora vivente – quasi tutti iniziano citando i suoi disegni di trincee e postazioni militari eseguiti quando era combattente al fronte nel 1917-18.

Si pone dunque una prima questione: nessuno parla dei suoi studi e della sua formazione; nel catalogo del 2011 è pubblicata una Sacra famiglia datata 1911,  esemplata, secondo Carlo Sala,  sull'icona venerata nel santuario mariano di Motta; inoltre altre opere giovanili risalenti agli anni immediatamente successivi alla guerra mostrano ritratti di famigliari, della casa natale e della campagna di Annone. Il figlio Luciano testimonia che il padre ricordava con particolare stima tra i suoi professori Antonio Beni: il Beni, architetto di molte chiese nel territorio veneto nei decenni del primo Novecento, fu insegnante e direttore alla Scuola di disegno di Motta di Livenza: da ciò l'ipotesi – da verificare –  che Juti abbia frequentato questa scuola; un ulteriore indizio è offerto da un inedito disegno a matita di Juti Ravenna, datato 1914, con una perfetta prospettiva di edifici allineati sulle rive di un fiume (forse una veduta di Bassano del Grappa) che ha tutte le caratteristiche di un saggio di fine corso. L'interesse per l'architettura era stimolato in famiglia anche dal nonno costruttore e capomastro, che portava il fanciullo nei cantieri.

 

Il trasferimento a Venezia

Tutti i regesti sono concordi nel riferire il trasferimento a Venezia e l'inizio della frequenza all'Accademia all'anno 1920. Nella Galleria Comunale d'arte moderna di Treviso si conserva un suo ritratto a sanguigna eseguito da Pio Semeghini datato 1919 che fa ritenere che il suo trasferimento (o quanto meno la sua frequentazione) nella città lagunare vada anticipato a quell'anno. Il rapporto di amicizia con Pio Semeghini si configura, secondo alcuni, anche come una sorta di alunnato: è possibile che il già maturo Semeghini possa aver indirizzato il giovane Ravenna, e anzi gli sarà stato mentore e consigliere, ma, a mio parere,  non si riscontrano caratteri di stile che accomunino i due artisti. Confrontando due vedute di Venezia dall'alto – in entrambi i casi una veduta dallo studio – si nota come quella di Semeghini sia condotta per stesure di colore che conferiscono leggerezza atmosferica alla composizione, mentre quella di Juti è costruita per salde geometrie volumetriche.

E' questo lo stile di Ravenna che si può cogliere fin dai primi anni venti, e che si spiega forse con i suoi precedenti di studio (ove verificati) e famigliari; si assiste infatti in questo periodo ad un suo progressivo approdo a una pittura “architettonica”, non solo quando dipinge edifici e vedute di città, ma anche nelle solide nature morte, uno stile che si prefigge di dare struttura alla natura.

In un'opera emblematica del 1924 – Il discepolo –  un fanciullo ignudo, seduto sul pavimento di una piazza dalla profonda prospettiva, osserva lo scorrere della sabbia in una clessidra; sullo sfondo si intravvede la figura minuscola di un vecchio barbuto. E' una chiara allegoria del tempo, ma anche il manifesto di una visione artistica: il fanciullo è l'artista – puro e incontaminato come il “fanciullino” pascoliano – proiettato nel futuro dopo aver studiato ed esperito la tradizione storica; l'annotazione “da approfondire” conferma l'essenza programmatica dell'opera.

 

Ravenna e il rapporto con l'arte del suo tempo

Benché l'artista – sia nei suoi scritti che in colloqui testimoniati da critici e amici – abbia espresso in

diverse occasioni delusione per gli insegnamenti ricevuti all'Accademia di Venezia, egli si trovò dentro un ben preciso clima culturale: quel “ritorno all'ordine” che porta al movimento di “Novecento”, che si proponeva di trovare uno stile italiano partendo dallo studio degli artisti del Rinascimento, elaborandone le opere in chiave purista e sintetista. A Venezia il Novecento viene declinato in forme diverse: dal realismo magico di Cagnaccio di San Pietro e Bortolo Sacchi, alle salde strutture di Guido Cadorin, o alle composizioni metafisiche di Federico Cusin e Paolo Consolo, debitore quest'ultimo a Giorgio De Chirico.

A mio parere la solidità strutturale delle composizioni di Juti Ravenna testimonia la sua personale adesione al movimento. Egli rimane fedele lungo tutto il suo percorso a questo stile elaborato fin dai primi anni veneziani: solo per citare qualche esempio, oltre al già ricordato Discepolo si ricordano Natura morta con sciarpa a pois del 1923, San Giacomo dell'Orio del '26, La spiaggia del '27, Burano e Chiesa della Salute del '28.

 

Lo studio a Ca' Pesaro e a Palazzo Carminati

L'artista ottiene fin dal 1923 uno studio a Ca' Pesaro nel piano del sottotetto, in situazione di vera “Bohème” ma assai confacente al suo stato d'animo, e comoda d'altronde all'attività espositiva che si svolgeva nel palazzo. Dopo aver partecipato a mostre collettive, nel 1924 Nino Barbantini gli dedica una mostra personale all'interno della XV Esposizione dell'Opera Bevilacqua La Masa.

Ma nel corso degli anni venti egli soggiorna spesso a Burano, all'epoca luogo appartato e tranquillo, meta anche di altri artisti, dove si conservava ancora il ricordo dei soggiorni di Gino Rossi.

Nel 1927 gli studi degli artisti vengono trasferiti a Palazzo Carminati: Mesirca ricorderà nel 1964 che lo studio di Ravenna “si raggiungeva dopo aver salito interminabili rampe di scale, di marmo all'inizio e poi di vecchio legno tarlato, scricchiolante e polveroso, sino al pianerottolo finale, dove si arrivava affannati e col cuore in gola”. Testimonia il trasloco un Autoritratto del 1928, forse l'unico in cui l'artista compare a capo scoperto, il volto riverberato dalla luminosità diffusa che dilata lo spazio dell'ambiente. Ravenna vi abiterà per vent'anni fino al trasferimento a Treviso nel 1947: sarà punto di riferimento e luogo di incontri con artisti e letterati, e ne danno testimonianza numerose fotografie in cui l'artista compare insieme a de Pisis, Bergamini, Varagnolo, Seibezzi, Costantini e altri.

Sono anni fecondi di opere e di partecipazione alle mostre: non solo a tutte le edizioni della Bevilacqua La Masa ma anche alla Biennale, ove è presente a tutte le edizioni tra il 1928 e il 1950.

 

Treviso

Oltre che a Venezia Ravenna espone a mostre organizzate anche in altre città. A Treviso partecipa alla “Prima Mostra regionale d'arte” nel 1921; ne fa fede il catalogo che riporta i titoli delle opere esposte: tre al piano terra – Letargo, Campagna squallida e Alla piscina – accanto al friulano Carlo Someda De Marco; una al primo piano: Ilarità in luce. In questa occasione conosce diversi artisti, tra cui Gino Rossi.

Dopo questa puntata giovanile, l'artista torna a Treviso nel 1933 per la “IX Mostra trevigiana d'arte” organizzata da Bepi Mazzotti a Palazzo Scotti: vi partecipa con due “nature in silenzio”, cioè nature morte. La mostra è importante perché ospita la famosa retrospettiva di Gino Rossi di ben 33 opere, curata da Nino Barbantini; inoltre segna la rappacificazione con Treviso di Arturo Martini, che espone 9 opere, tra cui la grande terracotta Venere dei porti che verrà acquistata dal Comune.

Partecipa quindi nel 1935 all'importante mostra in Villa Margherita: egli è a questa data un artista maturo e famoso, in rapporto con artisti e intellettuali. Negli anni precedenti aveva frequentato Treviso ed era entrato in amicizia con lo scrittore Giovanni Comisso, per il quale nello stesso anno 1935 aveva affrescato una Madonna col Bambino nella casa di campagna a Zero Branco. Alla mostra di Villa Margherita in autunno partecipa con cinque nature morte, due disegni, e un soggetto trevigiano, Piazza dei Signori, un olio su tela di grande formato, con un sapiente effetto di bagnato (un recensore della mostra la descrive come “Piazza dei Signori sotto la pioggia”), già sperimentato in vedute veneziane; l'opera verrà acquistata a fine mostra dal Comune di Treviso ed entrerà in seguito nella Galleria Comunale d'arte moderna.

Infine partecipa all'ultima mostra “di regime”, la XI Mostra d'Arte Trevigiana” , inaugurata l'11 ottobre 1942 nel Salone dei Trecento: presenta sei opere che dal catalogo apprendiamo essere due di proprietà del critico Benno Geiger, quattro di Giorgio Zamberlan, collezionista e “mercante in camera”. Una delle opere di Geiger – Sagra a San Polo – è identificabile dall'illustrazione in catalogo;  due acquarelli di Zamberlan – Squero a Venezia e San Remo – vengono acquistati da Ettore Luccini, professore di filosofia al Liceo Canova, collezionista e amico di artisti che dopo la guerra aprirà la Galleria d'arte al pozzetto di Padova. Le opere della collezione Luccini arriveranno in dono alla Galleria d'arte moderna di Treviso nel 1997: a testimonianza di un rapporto che si trasformò in amicizia la collezione presenta altre opere di Ravenna, vedute e ritratti di Luccini e della moglie, così come l'archivio contiene foto dei due insieme per le vie di Treviso.

Dopo la guerra la vivacità dell'ambiente veneziano e le nuove provocatorie tendenze artistiche inducono Ravenna a lasciare la città lagunare, così che nel 1947 si trasferisce nella più tranquilla Treviso, lavorando nello studio dell'amico pittore e illustratore Sante Cancian. Morto questi all'improvviso, ne sposerà la vedova nel 1949.

La residenza a Treviso è testimoniata da una serie di vedute cittadine, da Case bombardate del 1946 e altra di analogo soggetto del 1947 (la città aveva subito un pauroso bombardamento il 7 aprile del '44), inoltre vedute del Sile, della riviera e del prato della Fiera: dipinti dalle solide geometrie e dai colori vivaci secondo il suo personale stile a cui rimane fedele; e secondo il quale declina una classica Maternità ritraendo la moglie Rina mentre allatta il piccolo Luciano nato nel 1949.

Ma dimostra nel prosieguo qualche omaggio alla pittura informale che teneva campo a Venezia in quegli anni – ne era campione di livello internazionale Emilio Vedova – sia con peculiari soggetti di “Boutiques” sanremesi – laddove gioca con i riflessi delle vetrine – sia con paesaggi in cui sperimenta vortici dinamici e tremolii di foglie.

Partecipa come espositore, ma spesso anche nella commissione di accettazione, alle mostre provinciali nel corso degli anni cinquanta e sessanta.

Apprezzato dai critici e dai collezionisti e insignito di onorificenze, si spegne a 75 anni il 29 aprile 1972. Nel 1979 sarà onorato nella sede museale di Casa da Noal con una grande mostra curata da Luigina Bortolatto, Giuseppe Mesirca e Franco Solmi.

 

Bibliografia consultata:

Mesirca, Juti Ravenna. Una vita per la pittura, Padova 1969

L.Bortolatto, G. Mesirca, F. Solmi, Juti Ravenna. L'artista nella cultura del '900, Catalogo della mostra – Treviso – Casa da Noal – ottobre-novembre 1979, Treviso 1979

Juti Ravenna. Dipinti 1920-1950, Catalogo della mostra – Treviso – Casa dei Carraresi – 15 settembre-4 ottobre 1992, Treviso 1992

Juti Ravenna (1897-1972). Mostra retrospettiva nel centenario della nascita, Catalogo della mostra a cura di F. Batacchi, Annone Veneto – Palazzo Municipale – 29 novembre-31 dicembre 1997, Ponte di Piave 1997

Bonifacio, a.v. Juti Ravenna, in La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, Milano 2009, pp.380-381

Sonego, Juti Ravenna a Venezia, Tesi di laurea Accademia di Belle Arti di Venezia, relatore F. Tagliapietra, A.A. 2010-2011

Juti Ravenna, una dinastia di artisti. Rina Franca Gabriella, Catalogo della mostra, Motta di Livenza – 2-23 ottobre 2011, Introduzione critica di Carlo Sala con una nota di Bruno Stefanat, Motta di Livenza 2001

 

 

 


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